Sulle orme di Jean Monnet, qualche proposta per l’Ue

 

Jean Monnet

 

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di Olivier Dupuis e Carmelo Palma

Vox Europ, 22 novembre 2018

Cerchiamo di andare al sodo. L’opposizione “federalisti europei” versus “sovranisti” ci sembra molto riduttiva, così come ci sembra astratta, oggi più che mai, l’opposizione tra “europeisti” e “federalisti europei”. E perfino lo slogan “Stati Uniti d’Europa” è divenuto una mera suggestione, incapace di produrre la pur minima indicazione operativa. Per non parlare dei vari scenari « azzeriamo tutto e ricominciamo da capo » che tanto ci ricordano “il distruggiamo il passato per costruire il futuro”.

A dire il vero, se la questione della natura istituzionale dell’oggetto “Unione europea” è senza dubbio interessante, questa non ha di fatto oggi alcuna urgenza politica. Non è su questa distinzione che si gioca la tenuta o la resistenza di un’idea concretamente europea dell’Europa. Il confronto non è oggi tra i teorici di un ritorno all’Europa delle patrie e quelli dell’avanzamento verso una comune patria europea federale, ma tra la strategia in corso, con evidente successo, di destabilizzazione e delegittimazione della costruzione europea e il rafforzamento degli istituti e delle politiche, su cui poggia l’efficacia pratica e la legittimazione politica dell’Ue.

Come è ovvio, non pensiamo che tutti i problemi che le nostre società devono affrontare siano riconducibili alla dimensione europea, in parte perché molti possono (e devono) essere risolti proprio dagli stati nazionali o da realtà istituzionali sub-nazionali (le regioni, le città…), in parte perché alcune emergenze politiche vanno ben al di là della dimensione europea e su queste – pensiamo ai cambiamenti climatici, all’inquinamento atmosferico, alle dinamiche demografiche e migratorie – il ruolo europeo è proiettato su scenari economici e strategici globali, in cui il peso dell’Europa sarà oggettivamente declinante. Siamo però convinti, oggi più che mai, che la dimensione europea sia quella giusta, cioè adeguata, per affrontare i temi centrali della libertà, prosperità e sicurezza dei cittadini e degli stati europei.

Se questa premessa è giusta, la questione centrale, per noi, rimane quella di capire i limiti della costruzione europea sia in termini di democraticità, sia in termini di efficacia, sia in termini di riconoscimento e “appropriazione” culturale del suo ruolo da parte dei cittadini europei.

L’equilibrio istituzionale escogitato nei lontani anni ‘50 era il risultato di una fredda analisi della situazione europea del tempo, nonché della lunga e travagliata storia del nostro continente. Il merito è innanzitutto di Jean Monnet, il vero genio e artefice del processo di integrazione europea. Egli aveva capito che occorreva fare assolutamente i conti con la “storia lunga” e con i nostri “vecchi” stati. Con l’istituzione del Consiglio dei ministri degli stati membri aveva però avviato un meccanismo che consentiva, in prospettiva, di politicizzarne le discussioni, impedendone l’esproprio da parte delle burocrazie nazionali. Con il Consiglio Monnet non pretese di “superare” gli stati nazionali, ma di costringerli a fare “politica europea”, anziché semplici negoziati sui rispettivi interessi.

Altro suo merito fu di avere capito che la logica del “tutto o niente” non avrebbe mai funzionato e che occorreva individuare le competenze statali, il cui trasferimento a livello europeo potesse sia essere accettato dai sei paesi fondatori, sia comportare virtuosamente un effetto espansivo delle competenze comunitarie, con un processo che bene così riassunse: “un’azione concreta e risoluta, relativa ad un punto limitato ma decisivo, che implica su questo punto un cambiamento fondamentale e, a poco a poco, modifica i termini stessi dell’insieme dei problemi”. 1

Ma Jean Monnet aveva anche capito che bisognava creare l’altra gamba istituzionale della Comunità europea, quella espressione dei cittadini. Sempre attento a non andare più veloce del corso dei tempi, Monnet aveva proposto l’istituzione di un Parlamento europeo, i cui membri sarebbero stati scelti tra i membri dei parlamenti nazionali. Ci sarebbero voluti altri vent’anni (ma cosa sono vent’anni nella storia europea!) per ottenere l’elezione diretta dei parlamentari europei. È stata la “contropartita” ottenuta da Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo alla creazione del Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, fortemente voluta da Valery Giscard d’Estaing, allora presidente francese 2.

Un Senato europeo

Una “invenzione”, quest’ultima, che ha avuto l’indubbio, seppure indiretto, merito di consentire la nascita di un Parlamento europeo sempre più legislatore alla pari del Consiglio. Se siamo molto più perplessi sugli altri effetti “positivi” dell’irrompere del Consiglio europeo nell’architettura europea e sull’istituzionalizzazione di quei vertici dei capi di stato e di governo che, di fatto, esistevano anche prima, siamo invece convinti che questa istituzione intergovernativa abbia giocato un ruolo centrale nella progressiva marginalizzazione e burocratizzazione del Consiglio (dei ministri), impedendo la sua progressiva trasformazione in un vero e proprio Senato europeo.

Veniamo alla tematica della sicurezza. Una problematica spesso affiorata, mai affrontata frontalmente. Malgrado la Russia imperialista e antidemocratica di Putin, malgrado le mire egemoniche della Cina in Asia, malgrado Trump che però passerà, mentre rimarrà l’America, ma non necessariamente l’America aperta al mondo e alle responsabilità globali, che abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa e da cui, come Europei, abbiamo tratto molti vantaggi.

Questi cambiamenti epocali richiedono da parte dell’Unione una vera assunzione di responsabilità in materia di difesa e di sicurezza, anche per rispondere alle (in questo legittime) richieste dell’amministrazione Usa, che esige un maggiore coinvolgimento dei paesi europei nel finanziamento delle politiche di difesa. Finora le iniziative in materia di difesa europea sono state per lo più tanto irrilevanti, quanto magniloquenti, nascondendo la loro intrinseca natura, quella “di piccoli arrangiamenti incrociati tra industriali degli armamenti e stati maggiori nazionali”, che “non cambiano per niente l’assetto strategico dell’Europa, ovvero il suo grado di autonomia”, secondo l’ottima sintesi di Pierre Defraigne 3.

Un esercito europeo comune e comunitario

Riteniamo che la prima cosa da fare, apparentemente marginale eppure mai fatta in precedenza, sia quella di redigere, come propone il generale francese Jean Paul Perruche, un Libro Bianco sulla sicurezza e sulla difesa europea, nel quale vengano individuate le diverse minacce che incombono sull’Ue, intesa nel suo insieme, e indicate le strategie di reazione e contrasto attivabili dall’Unione, sempre intesa nel suo insieme. Accanto a questo Libro Bianco, andrebbe realizzato uno studio approfondito sulle modalità di costruzione di un esercito europeo comune e comunitario, sottoposto all’autorità delle istituzioni europee, con un bilancio autonomo e congruo (si parla comunque di qualche decimale di PIL degli stati partecipanti), e sulle sue implicazioni in termini istituzionali, militari e industriali.

Oltre alla questione dell’autonomia strategica già evocata (in un’ottica di complementarità, non di “indipendenza” rispetto agli eserciti nazionali e alla Nato) ci sembra che questo progetto sia una premessa indispensabile (e non, come molti pensano, una conseguenza) dell’avvio di una vera politica estera. Tra le altre cose, consentirebbe di arginare, se non superare, i pesanti condizionamenti sulle relazioni esterne dell’Europa dovuti all’export delle industrie nazionali militari, incapaci di sopravvivere solo con i ricavi dei rispettivi mercati domestici.

In termini di riconoscimento e appropriazione culturale dell’oggetto Ue da parte dei cittadini europei, due riforme ci sembrano urgenti.

Elezione del Presidente della Commissione al suffragio universale

La prima è quella di rendere i cittadini europei protagonisti dell’elezione del capo dell’esecutivo europeo, prevedendo l’elezione del Presidente della Commissione a suffragio universale diretto. Si tratta anche dell’unico modo per chiudere questa battaglia senza senso tra il Consiglio europeo e il Parlamento su chi debba avere l’ultima parola sulla scelta del Presidente della Commissione. È del resto evidente che in un sistema istituzionale la cui legittimazione poggia tanto sugli stati membri quanto sui rappresentanti dei cittadini europei, né gli uni né gli altri possono pensare di imporre il proprio candidato alla presidenza della Commissione.

Una televisione pubblica europea

La seconda riforma serve a contrastare il provincialismo, l’approssimazione, o la disinformazione che molti mass media nazionali, più o meno deliberatamente o consapevolmente, coltivano e diffondono nei rispettivi bacini di ascolto. Mediamente, con ovvie differenze tra i diversi Paesi, i cittadini degli stati membri non sanno praticamente nulla né della realtà dell’Unione, né di quella degli altri stati. Barriere linguistiche, ma anche pregiudizi culturali, concorrono con una informazione incompleta e scadente a fomentare un senso di minaccia e di ostilità reciproca, non a incentivare sentimenti di convivenza e cooperazione. Riteniamo che la creazione di una TV europea, sul modello informativo di Euronews e sul modello culturale di Arte, costituirebbe un importante antidoto al veleno sovranista, con una fonte comune di informazione e di approfondimento, accessibile a tutti i cittadini europei nelle varie lingue dell’Unione.

Attenendoci il più possibile allo spirito e al metodo di Jean Monnet abbiamo cercato di individuare alcune iniziative (non sono ovviamente le sole) che potrebbero man mano consentire all’Unione di diventare più Unione. Sono qui presentate sotto forma di petizione al Parlamento europeo. Questo non esclude evidentemente che possano essere oggetto di altre forme di iniziativa e diventare, in altro modo, strumenti di partecipazione politica.

  1. Trasformazione del Consiglio in un Senato europeo: proposta di petizione al Parlamento Europeo
  2. Difesa dell’Europa : un esercito comune per l’UE: proposta di petizione al Parlamento Europeo
  3. Elezione diretta del Presidente de la Commissione europea: proposta di petizione al Parlamento Europeo
  4. Istituzione di una TV pubblica europea: proposta di petizione al Parlamento Europeo

Con la speranza che queste proposte possano suscitare un dibattito e un interesse dentro +Europa e, ovviamente, anche oltre.

 

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Notes:

  1. Note de réflexion de Jean Monnet, 3 mai 1950 : « “(…) une action concrète et résolue, portant sur un point limité mais décisif, qui entraîne sur ce point un changement fondamental et, de proche en proche, modifie les termes mêmes de l’ensemble des problèmes (…)”.
  2. « (…) La situazione si sblocco con l’arrivo al potere di un uomo nuovo : il presidente Giscard d’Estaing. Questo teneva molto ad istituzionalizzare i vertici dei capi di stato o di governo. L’opposizione persistente dei paesi del Benelux non li aveva consentito di ottenere soddisfazione. Giscard d’Estaing li propose un « deal » durante il vertice di dicembre 1974. Il Belgio e i Paesi bassi sostennero la creazione del Consiglio europeo, in cambio del quale Parigi accetto’ il principio dell’elezione diretta del Parlamento. (…) », Luuk Van Middelaar in « Le passage à l’Europe », Gallimard 2012 (nostra la traduzione).
  3. « Refonder l’Europe, c’est changer les Traités », Pierre Defraigne, La Libre, 31 dicembre 2017

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